Vi sarà capitato di vedere i filmati degli alpinisti sulle montagne dell’Himalaya, che ogni tre passi si fermano per riprendere fiato. Eppure sono atleti preparatissimi, abituati agli ambienti estremi e alle alte quote. Come mai dunque arrancano a quella maniera, facendo una fatica abnorme?
Senza andare in Himalaya, gli effetti dell’alta quota li possiamo provare noi stessi sulle alpi, recandoci ad altitudini superiori ai 1.500 m. Ci accorgeremo infatti che un’attività fisica, che in pianura riusciamo a svolgere agevolmente, lì richiede un maggiore sforzo.
Altitudine e composizione atmosferica
Le variabili che caratterizzano l’atmosfera al crescere dell’altitudine e che incidono principalmente sul corpo umano sono: pressione atmosferica e quindi pressione dei gas presenti nell’aria che respiriamo, umidità e temperatura.
In generale possiamo affermare che, a parità di quota, umidità e temperature elevate fanno decrescere la pressione e che pressione atmosferica, temperatura e umidità diminuiscono al crescere dell’altitudine.
La pressione (che non è la stessa a qualsiasi latitudine) possiamo indicarla a livello del mare, latitudine di 45° e temperatura di 0°C, con un valore di 760 mm Hg. Essa si ridurrà di circa la metà (380 mm Hg) a 5.000 m (circa l’altezza del Monte Bianco), per arrivare più o meno a 245 mm Hg a circa 9.000 m (circa l’altezza dell’Everest).
L’aria che respiriamo è composta in linea di massima al 21% da ossigeno, 78% azoto e la restante parte da altri componenti tra cui l’anidride carbonica (0,04%). Con il crescere dell’altitudine le percentuali di gas sopra descritte non variano, ma a variare è la loro pressione.
L’effetto della minor pressione di ossigeno crea conseguenze in tutto l’organismo e principalmente ne polmoni, cuore e reni.
Gli effetti sull’organismo
Un soggetto sano e non acclimatato che sale rapidamente ad alta quota (ad esempio su un ghiacciaio alpino in funivia a 3.000m) noterà subito, anche in corrispondenza di uno sforzo di media bassa intensità, l’aumento delle pulsazioni cardiache e della frequenza di respirazione.
Facendo questo, il corpo cerca di aumentare l’ossigenazione del sangue e dei tessuti.
Quello di cui non ci accorgiamo però è che l’organismo cerca di compensare la diminuzione di ossigeno nel sangue (ipossia), con un aumento della concentrazione di globuli rossi, dell’ematocrito, dell’emoglobina e della produzione dell’ormone EPO (Eritropoietina, che promuove lo sviluppo di globuli rossi).
AMS – mal di montagna: come si manifesta
Il mal di montagna colpisce in modo differente da persona a persona e se per alcuni soggetti i sintomi cominciano a comparire sopra i 1.500 m, generalmente si è esposti sopra i 2.500.
I sintomi più comuni sono: cefalea, perdita di appetito, nausea/vomito, astenia (fatica), vertigini, insonnia. A quote considerevoli e nei casi più gravi si possono riscontrare: tosse persistente, allucinazioni, psicosi, fino ad incorrere nel rischio di Edema Polmonare HAPE e Cerebrale HACE. In questi due casi specifici è necessario scendere al più presto di quota.
Come acclimatarsi: strategie, alimentazione e farmaci
Il metodo irrinunciabile e più comune per combattere la sindrome da alta montagna AMS è quello di abituare il corpo per gradi alla quota.
Volendo fare una gita alpinistica sopra i 3.000 m, potrà essere utile dormire una notte a 1.500 m. Questo concetto è scalabile su qualsiasi obiettivo si abbia. Se si ha l’obiettivo di scalare una cima da 4.500 m sarà utile avvicinarsi a quella quota per gradi, dormendo a 3.000 m la notte precedente e spingendosi fino ad una quota inferiore ai 4.000 m durante il giorno precedente.
È lo stesso metodo che utilizzano gli scalatori di alte quote: creando un campo base (il nostro albergo in paese) e dei campi avanzati (i nostri rifugi in quota).
Mano a mano gli scalatori salgono oltre i campi avanzati e tornano a dormire alla quota di questi. Inizialmente ci dormono una sola notte per poi fare ritorno al campo base, poi, con il passare dei giorni, dormiranno più notti nei campi alti, prima di attaccare la cima.
In ogni caso, se la cima non è raggiungibile, gli scalatori non si intrattengono per diversi giorni sui campi alti ma fanno ritorno al campo base, ripetendo poi la procedura.
Va detto infatti che il corpo non ha la capacità di adattarsi oltre una quota di circa 5.000 m. Ossia, fino a questa quota riesce ad intervenire compensando per normalizzare i parametri, oltre può solo “contenere i danni”.
Per questo motivo i campi base di tutte le spedizioni sono attrezzati all’incirca a 5.000 m, indipendentemente dalla distanza effettiva dalla base della montagna.
Un sistema molto semplice ed efficace per prevenire i sintomi dell’AMS è quello di idratarsi notevolmente, bevendo molta acqua, già un paio di litri prima di salire in quota il giorno precedente e la stessa quantità durante il soggiorno in altitudine. Sconsigliata è l’assunzione di alcolici.
Anche un farmaco può essere utile per combattere i sintomi dell’AMS: l’acetazolamide, in passato usato come diuretico, rallenta l’assorbimento di bicarbonati nei reni e ne favorisce l’eliminazione tramite le urine, con un conseguente riequilibrio dei valori di anidride carbonica nel sangue. Il dosaggio sarà in funzione della gravità dei sintomi.
Comunemente si consiglia a persone non acclimatate, sopra i 3.000 m, di salire di circa 300 m di dislivello al giorno e di riposare qualche giorno dopo aver superato i 4.000m, tuttavia essendo le reazioni all’altitudine molto soggettive, è difficile dare indicazioni oggettive.
Curiosità
All’alta quota ci si può acclimatare anche artificialmente: negli anni 40 alpinisti inglesi utilizzarono camere ipobariche per allenarsi prima di raggiungere le regioni Himalayane e prima ancora arrivarono ad ipotizzare che le sigarette fossero un buon antidoto contro l’ipossia.
Consigli in pillole
Senza dover ricorre a misure stravaganti i consigli più semplici sono:
- Bere molta acqua
- Muoversi lentamente
- Fermarsi a riposare
- Alimentarsi e scaricarsi adeguatamente
- Fare attenzione ai sintomi dell’AMS
- Saper ritornare a quote di benessere